NATO e guerra in Europa

Segnalo a chi segue questo mio spazio il testo riveduto dell’intervento che ho svolto lo scorso 12 luglio 2023 in occasione dell’incontro pubblico Pace e Guerra in Europa meritevolmente organizzato dall’Associazione Liberamente a Montemiele (PU), in collaborazione con l’Associazione Ville & Castella.

La serata è stata importante, perché sono sempre meno le occasioni per affrontare questi temi. Mancano soprattutto all’appello i giovani, che sembrano completamente disinteressarsi di quanto sta accadendo intorno a loro, probabilmente perché gli strumenti di intrattenimento da cui sono sempre più dipendenti non li sensibilizzano certo su questioni serie: il loro compito è distrarli, con la scusa di divertirli.

Nell’epoca della comodità, della distrazione e del divertimento può dunque succedere di tutto…

Ecco dove trovate il testo del contributo, come sempre su clarissa.it:

Guerra in Europa e “Ordine Internazionale” NATO

Commenti, critiche ed osservazioni sono sempre benvenute!

Intervista sull’Ucraina a Liberi di Scrivere

Ecco il testo dell’intervista che cortesemente il blog Liberi di Scrivere mi ha richiesto: non vi sono particolari riferimenti all’attualità, ma proseguo con le mie considerazioni sul significato storico di questo tragico conflitto nella storia dell’Europa del XX e XXI secolo.

Un’intervista con Gaetano Colonna, autore di Ucraina tra Russia e Occidente – Un’identità contesa, a cura di Giulietta Iannone

Dopo la lettura del suo interessante libro Ucraina tra Russia e Occidente – Un’identità contesa (seconda edizione), che mi riprometto di analizzare a breve su queste pagine, vorrei farle alcune domande partendo se vogliamo dalle sue conclusioni: dunque secondo le sue impressioni parte tutto dallo “spirito di Versailles” quel germe che ha minato le basi del nascente spirito comunitario che avrebbe dovuto affratellare i popoli europei e occidentali in un’ottica di pacifica convivenza. Può esplicitarci meglio questo concetto?

Con l’espressione “spirito di Versailles” intendo semplicemente la singolare combinazione ideologica che le potenze anglosassoni vincitrici alla fine della Prima Guerra Mondiale hanno saputo imporre all’Europa: da una parte, l’attribuzione della “colpa della guerra”, e da allora di tutte le guerre, ad un solo attore (la Germania, in quel caso); dall’altra, l’utilizzo della nazionalità come principio in base al quale frammentare i grandi imperi ottocenteschi, creando ovunque mosaici di nazioni i cui confini sono stati astrattamente definiti in maniera da includere e/o escludere minoranze etnico-religiose: in tal modo creano strutture politiche fragili e facilmente controllabili, innescando così anche una serie di conflitti dei quali quello russo-ucraino non è che l’ultima derivazione.

Dai suoi studi e dalle sue ricerche le forze “nazionaliste ucraine” possono avere connotazioni neo naziste o ascrivibili a questa area di pensiero? O fa tutto parte “solo” della propaganda russa?

Che ampi settori del popolo ucraino, soprattutto delle aree occidentali del Paese, abbiano simpatizzato per le truppe tedesche quando esse invasero l’Unione Sovietica nel 1941, non è un mistero per nessuno. L’Ucraina era del resto la nazione dell’Urss che aveva maggiormente subìto prima la guerra civile, seguita alla rivoluzione bolscevica (1918-1920), fra “rossi” sovietici e “bianchi” anticomunisti; poi le deportazioni ed i massacri dei kulaki; nonché la spaventosa carestia tra anni Venti e Trenta. Entrambi questi due ultimi fatti dovuti alla determinazione di Stalin di piegare le repubbliche dell’Urss alla sua visione totalitaria ed alla sua politica di potenza. È altrettanto vero che poi gli Stati Uniti si sono serviti degli anticomunisti ucraini rifugiatisi in Occidente alla fine della Seconda Guerra mondiale per far loro condurre proprio in Ucraina operazioni di guerra coperta contro l’Urss nei primi anni della Guerra Fredda. Nonché, più di recente, per rivolgersi agli stessi ambienti per promuovere in Ucraina l’ostilità anti-russa, dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Putin ovviamente, usando i temi della propaganda russa della Seconda Guerra Mondiale, ha buon gioco a chiamare “neo-nazisti” i nazionalisti anti-russi ucraini, esattamente come in Italia si è parlato e si continua a parlare di “neo-fascisti”, pur sapendo tutti benissimo che il fascismo italiano è morto nell’aprile del ’45.

Interessanti le osservazioni e le preoccupazioni del contrammiraglio tedesco Kay-Achim Schonbach, che per quanto vale personalmente condivido (p.134). A prescindere da un discorso di influenze e di convenienze economiche non sarebbe stato più utile a livello internazionale un’alleanza strategica e politica tra Europa e Russia, paesi di forte matrice cristiana, che praticamente costringere la Russia a trovare un’altra sponda nella Cina comunista? Fare tre poli, tre aree di influenza, da un lato Stati Uniti, al centro Europa e Russia e dall’altro India e Cina, non sarebbe stato un riequilibramento geostrategico più utile agli interessi della pace internazionale? Cosa l’ha impedito? La solita hybris statunitense? O c’è di più?

Un di più c’è, a mio avviso. Se si vuole parlare seriamente di identità europea, dovremmo avere l’onestà intellettuale di riconoscere che, se esiste una simile identità, essa può risultare solo dall’integrazione fra popoli neolatini, germanici e slavi, nel corso della tormentata storia del nostro continente: integrazione già da tempo avvenuta sul piano culturale, basti guardare alla letteratura, all’arte, alla musica europea.

Se, dopo la Seconda Guerra Mondiale, invece di una divisione in blocchi, si fosse potuto agire in questa direzione, avremmo avuto delle linee guida, ripeto assai più culturali che politico-militari, per la costruzione di un’Europa effettivamente unita. Essa avrebbe potuto favorire un equilibrio globale, a beneficio della pace, evitando instabilità economico-sociali e conflitti, in aree come America Latina, Africa, per non parlare del Medio Oriente, che sono state e sono invece da decenni terreno di sfruttamento e di scontro fra le superpotenze.

Per questo ritengo che la guerra in Ucraina sia senza dubbio un’immensa tragedia per il futuro dei popoli slavi, ma un’ancor più una grande sventura per il futuro dell’Europa: cosa di cui l’Unione Europea della sig.ra von der Leyen non sembra nemmeno rendersi conto.

In un’intervista lei afferma: “Vi sono uomini e donne ucraini nati in Usa che sono stati direttamente “trasferiti” dagli uffici governativi americani a quelli ucraini “. Secondo lei, questa stretta connessione tra USA e Ucraina è stata richiesta o imposta, da ragioni di convenienza, affinità ideologica e politica o altro?

Come ho già accennato prima, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, gli Ucraini anticomunisti che si erano rifugiati in Occidente seguendo la ritirata delle armate tedesche, sono stati spesso reclutati per operazioni speciali, a dire il vero in gran parte fallimentari, per quello che ne possiamo sapere, contro l’Urss: ad esempio l’operazione Red Sox condotta dalla CIA in Ucraina. L’anticomunismo, ovunque nel mondo (e l’Italia ne sa qualcosa), è stato del resto sempre intensivamente utilizzato dagli Usa semplicemente come utile strumento di guerra non convenzionale mediante il quale condizionare nazioni e classi dirigenti in funzione antisovietica: contro l’Unione Sovietica, ieri, contro la Russia, oggi.

Vede similitudini tra la questione ucraina, e quello che è successo nell’ex Jugoslavia?

La Jugoslavia è un esempio dei terrificanti puzzle di nazionalità che lo “spirito di Versailles” ha disseminato in giro per il mondo: vere e proprie bombe ad orologeria etnico-religioso-sociali. La differenza è che sottrarre alla Serbia il Kosovo non è come schierare la Nato in Ucraina, il nocciolo della preoccupazione della Russia di Putin, una preoccupazione che lo stesso Kissinger ha considerato ampiamente giustificata, soprattutto date le assicurazioni fornite alla Russia, dopo la caduta dell’Unione Sovietica, che la Nato non si sarebbe mai spinta tanto avanti.

Il mio timore però è che ci siano delle affinità anche con la dimenticata decennale guerra Irak-Iran, un terribile conflitto, durante il quale gli Stati Uniti e l’Occidente favorirono Saddam Hussein per tenere a bada l’Iran divenuto anti-americano, esattamente come ora si vuole fare armando l’Ucraina contro la Russia: forse anche Zelensky, quando rifiuta di aprire trattative di pace con Putin, contando sulla potenza americana, dovrebbe ricordarsi della fine fatta poi fare a Saddam dai suoi ex-sostenitori statunitensi.

La salvezza, l’unità e l’indipendenza ucraina non sarebbero state garantite da un governo federale del paese (con magari regioni a statuto speciale nelle aree russofone e a prevalenza di russi etnici) e da una sua finlandizzazione e neutralità? Cosa l’ha impedito? Secondo lei all’Ucraina questa promessa è stata fatta dagli Usa o dalla Nato per motivarli in questi tragici frangenti?

Il tema è a mio avviso molto ampio e complesso. Contro la “logica di Versailles”, e la potenza finanziaria e militare che l’ha alimentata fino ai giorni nostri, la risposta non è agevole, perché presupporrebbe una capacità di ideazione di nuove forme politiche.

Personalmente, ho trovato di grande attualità il disegno di riorganizzazione politica economica e culturale che Rudolf Steiner fece alle massime autorità dirigenti di Austria e Germania nel 1917, restando del tutto inascoltato. Essa richiede però una diversa concezione dello Stato e del suo rapporto con l’economia e la cultura. Un simile salto di qualità ideale però non è stato putroppo compiuto da nessuno dei politici del XXI secolo.

L’Ucraina avrebbe potuto rappresentare un ponte fra Russia ed Europa: in effetti, una strategia del ponte fu effettivamente tentata, fino alla cosiddetta rivoluzione di piazza Majdan, almeno da alcuni dei dirigenti ucraini. Ma è proprio ciò che gli Stati Uniti d’America non avrebbero mai potuto permettere. Ed infatti non lo hanno permesso perché, come ebbe a dire, nel dicembre 1949, il segretario di Stato Usa, Dean Acheson: «Nell’attuale contesto delle tensioni fra Est e Ovest la neutralità è un’illusione». A distanza di oltre settant’anni la sostanza della visione della classe dirigente statunitense resta la stessa: a maggior ragione ora che la Nato controlla l’Europa fino ai confini della Russia.

Che prospettive ci sono per una pace possibile, tanto auspicata dall’anziano Papa Francesco, e per il riallineamneto di assi strategici ora particolarmente sbilanciati verso Oriente? Si ricucirà mai la frattura tra Russia ed Europa, anche in prospettiva di un dopo Putin? Grazie.

La pace è auspicabile se davvero ci consideriamo Europei. Difficile favorire la pace, però, se ci facciamo influenzare ogni giorno dalla propaganda nordamericana, di cui si fanno strumenti tutti i principali media italiani ed europei, non riconoscendo ad esempio la minaccia che una Nato spinta fino ai suoi confini rappresenta concretamente per la Russia: e dunque la responsabilità in questa guerra di chi ha voluto questa espansione.

Difficile intravedere prospettive di pace quando, come già prima dei due grandi conflitti mondiali, si ripete per anni che i buoni stanno da una parte ed i cattivi dall’altra. L’Occidente atlantico continua a voler far credere al mondo che esso combatte per il pacifico ordine mondiale del futuro. Nonostante la sua politica interventista, il suo considerarsi il gendarme dell’ordine mondiale, abbia solo portato guerra, terrorismo e disgregazione ovunque sia stata applicata: dall’Iraq alla Siria all’Afghanistan.

Fino a quando nuove classi dirigenti in Europa non avranno il coraggio di riconoscere il fallimentare bilancio del lungo secondo dopoguerra, così come è stato gestito dall’Occidente atlantico, difficilmente si potrà ricucire la frattura fra Russia ed Europa. Con conseguenze assai pericolose per la pace nel mondo, qualora si dovesse anche profilare uno scontro epocale fra Cina e Occidente, dal quale l’Europa, con quello che ancora resta della sua civiltà, non potrebbe che essere definitivamente travolta.

Nato, Europa, Italia

Ho pubblicato due articoli su clarissa.it, entrambi relativi al vertice Nato di Madrid, dove è stato presentato il new strategic concept dell’Alleanza Atlantica.

Nel primo ho cercato di dare una lettura delle dichiarazioni del segretario generale Stoltenberg dal punto di vista di un’effettiva autonomia dell’Europa, se il processo di unificazione fosse effettivamente orientato in questo senso – quello cioè di un’indipendenza dal gioco delle grandi potenze, dalla lotta in corso fra chi intende mantenere un’egemonia mondiale (i Paesi anglosassoni) e chi ha invece intenzione di mettere in discussione questo modello, probabilmente con l’intenzione, almeno nel caso della Cina, di sedersi prima o poi a propria volta sul gradino più alto del podio mondiale. Qualora invece l’Europa, quale campo di battaglia di due guerre mondiali, fosse stata capace di proporre un proprio modello non competitivo ma collaborativo, non saremmo probabilmente arrivati nemmeno al conflitto in Ucraina.

Il secondo articolo ritorna su una questione di cui mi occupo spesso, non come un vecchio nazionalista, ma come un convinto assertore della missione che mazzinianamente l’Italia ha ancora da svolgere nel mondo, quella per capirsi della proposta di un modello sociale nuovo, che esprima e realizzi l’idea dell’Italia del Popolo: un’impulso che, trasversalmente ai diversi schieramenti politici, ha alimentato la parte migliore, più dinamica e innovativa, della nostra storia, tra Ottocento e Novecento – pur con i suoi limiti di troppa declamazione, a fronte delle poche difficili ma concrete realizzazioni.

La crescente subordinazione dell’Italia ai grandi interessi economico-finanziari, ed alle loro conseguenti declinazioni politico-militari, è un dato di fatto che deve essere insistentemente sollevato davanti all’opinione pubblica, sia pure con i modesti mezzi di chi scrive. Chi ancora ciancia di democrazia e di libertà ma tace su questa nostra condizione come Paese è portatore di menzogna e di inganno nei confronti del nostro popolo.

Spero che questi due contributi possano essere quindi di aiuto alla formazione oramai indispensabile di una coscienza di popolo rinnovata, che abbia chiare le linee di sviluppo della politica globale del nostro tempo, e del ruolo che in questo ambito Italia ed Europa potrebbero e dovrebbero ancora svolgere, quantomeno per evitare i rischi di conflitti che si vanno pericolosamente addensando sul futuro dell’umanità.

Ucraina fra Russia e Occidente, nuova edizione

È stato grazie all’impegno dell’Editore Edilibri di Milano, mio storico editore, che abbiamo deciso qualche giorno fa di pubblicare una nuova edizione di Ucraina fra Russia e Occidente, uscito la prima volta nel 2014.

La pressante richiesta di testi sull’Ucraina da parte delle librerie è il segno dell’impatto mediatico che le vicende dell’est Europa stanno avendo sulla pubblica opinione.

Putroppo, l’informazione oggi dominante è totalmente allineata su di una lettura filo-atlantica del conflitto, le cui cause, invece, come avevo spiegato in dettaglio nella prima edizione di Ucraina fra Russia e Occidente, sono assai più profonde, strutturali – e sintomatiche dell’intero odierno assetto dell’Europa, nonché del perdurare di nefaste politiche di potenza nel mondo globalizzato.

Presento il libro il prossimo 17 marzo 2022 alle ore 16:30 presso la Biblioteca Comunale di Senigallia, via Ottorino Manni 1, grazie alla collaborazione della Libreria Mondadori di Senigallia, che ringrazio sentitamente per la disponibilità.

La nuova edizione contiene un capitolo aggiuntivo, col quale ho cercato di tratteggiare in estrema sintesi gli ultimi sviluppi del conflitto: militari, economici, strategici. Essi sono del resto in tutto coerenti, lo dico senza presunzione, con l’analisi che ho sviluppato otto anni fa.

Quel che conta, davanti al sangue versato ed alle sofferenze di un popolo, non è il più o meno vanitoso “avevo ragione”, che, pur vera, sarebbe un’assai penosa affermazione.

Quello che importa nunc et semper è la validità di un metodo di lavoro, che, scevro da pregiudizi ideologici, si limita a mettere pazientemente in fila, andando a individuare quelli più significativi, fatti e documenti, con particolare attenzione alle loro connessioni ed allo smascheramento delle facili verità mediatiche – che verità raramente sono.

Chi scrive ha dovuto imparare questo modo di operare dai tempi lontani della strategia della tensione, quando per decenni si sono raccontate tragiche favolette alla gente: favole che servivano a scopi che solo oggi si cominciano a chiarire, grazie al lavoro di pochi, coraggiosi esseri umani.

Non propongo questo libro come se portasse al lettore tutta la verità: ma sicuramente è un libro di chi cerca la verità, perché ritiene che essa esista e che uomini dotati di buona volontà la possano sempre, anche se faticosamente, raggiungere.

Il giudizio finale su questo libri spetta al lettore di oggi. Quello sulla storia che stiamo vivendo lo affidiamo serenamente al futuro.

Incantatori e Incantati

Se parlate con la gente comune, che sa poco o nulla di storia, che ascolta radio o televisione, avete il polso di quanto la propaganda e la Psyops occidentali stanno facendo presa intorno a noi.

Agitarsi e arrabbiarsi non serve a nulla.

Troppo lungo sarebbe qui spiegare perché è diventato così facile fare presa sulla coscienza ed il senso comune delle persone. Gli addetti ai lavoro occidentali ci lavorano da almeno settant’anni, e ci hanno lavorato bene e a fondo.

Bisogna quindi avere la pazienza di spiegare, documentare, ricostruire. L’ideale è farlo di persona e in piccoli gruppi.

È la responsabilità che abbiamo, come persone che hanno studiato e approfondito, che cercano onestamente di capire, con amore per la verità, senza odio e senza paura.

Ma se poi si deve scrivere e pubblicare, facciamolo.

Lezioncina morale? No. Solo un invito a leggere su clarissa i miei due ultimi pezzi, se già non li avete letti:

Russia contro Ucraina, l’ipocrisia dell’Occidente

Russia contro Ucraina, ipocrisia dell’Occidente 2

Sto anche preparando una nuova edizione di Ucraina fra Russia e Occidente… Vi terrò informati.

Buona lettura. Potete scrivermi cosa ne pensate.

Dal Covid alla Guerra

Da un anno all’altro! I miei pochi affezionati lettori mi avranno certamente seguito su clarissa.it, dove ho pubblicato un po’ di più che qui.

Stiamo ancora navigando nella follia iper-regolamentatrice di una classe dirigente (diciamo così) alla  frutta, stavamo sospirando l’uscita dallo stato di emergenza, contrario a tutte le leggi della Repubblica, ed ecco che un nuovo stato di emergenza viene proclamato per far piacere a Stati Uniti, Nato, Unione Europea: quest’ultima imbelle adunata di burocrati e politici in carriera che si mette a fare il giustiziere della notte…

Non voglio trattenervi troppo.

Su clarissa.it scrivo e scriverò penso ancora qualcosa su quanto sta accadendo. Devo continuare il lavoro fatto nel 2014 proprio sulla questione Ucraina – unico merito avere capito che quella situazione era solo il primo passo di un’abile strategia per portare la Russia rinata con Putin alla guerra, al logoramento di immagine politica, a rischi pericolosi.

Mi leggerete su clarissa.it, ma ogni tanto mi sfogherò anche qui.

Intanto un’anteprima mondiale: uscirà a giorni nelle librerie la seconda edizione, ampliata e attualizzata di Ucraina tra Russia e Occidente, un’identità contesa, per merito del mio affezionato editore, Edilibri di Milano.

Spero avrete modo di leggerlo!

Il futuro della Nato

Ho appena pubblicato su clarissa.it un’analisi sul documento dello scorso 25 novembre che un gruppo di studio della Nato ha elaborato per definire le linee strategiche dell’Organizzazione politico-militare atlantica da qui al 2030.

Non riprendo qui quanto ho scritto (anche in merito alle implicazioni per l’Italia), sottolineo solo l’importanza di questo studio perché lì vediamo come si pensa di reagire alle oggettive difficoltà che l’Organizzazione ha incontrato negli ultimi anni nel rapporto con gli alleati europei: in un fase in cui gli Stati Uniti d’America hanno manifestato, con Trump, la possibilità di un riorientamento delle priorità strategiche del Paese dall’Atlantico al Pacifico, a seguito della crescente potenza cinese.

Non dimentichiamo infatti che una lettura della storia dell’imperialismo americano, come quella che Franz Schurmann fece negli anni Settanta (F. Schurmann, The Logic of World Power, 1974), vedeva proprio nella questione Atlantico o Pacifico uno dei maggiori punti di discussione, competizione e contrasto all’interno della classe dirigente statunitense.

Non solo. Alcune questioni, passate quasi inosservate, come il ridispiegamento di forze militari Usa dal territorio tedesco a quello polacco, decise da Trump, evidenziavano le difficoltà della potenza egemone dell’Occidente a relazionarsi con la Germania – un aspetto anche questo mai da trascurare, pure nell’evidente continuità dei legami transatlantici.

Infine, la scelta Brexit, riportando la Gran Bretagna al mai dismesso rapporto privilegiato con gli Usa, avviato dalla Prima Guerra mondiale, pur attraverso alterne vicende, poteva rappresentare una tentazione ulteriore di arroccamento sui pilastri anglo-sassoni del UKUSA (comprendente come si sa anche Canada, Australia e Nuova Zelanda), allentando la presa sull’Europa Occidentale.

Dalla lettura di questo documento, pare invece che la Nato a guida Usa voglia, nell’arena mondiale, spingere l’Europa a subordinarsi ancor di più alla grande alleanza occidentale. In sostanza la Nato sembra voler rilanciare la posta in gioco, proiettandosi in una dimensione mondiale, come perno politico-militare-tecnologico del controllo dell’area euro-afro-mediorientale.

Disegno ambizioso, forse troppo ambizioso, alla luce della crisi economico-finanziaria del mondo occidentale, resa ancora più critica dall’emergenza sanitaria in corso da quasi un anno.

Ho segnalato questo documento perché esso esplicita in modo molto articolato come la Nato intenda ridisegnare il futuro post-Covid. Ma è anche evidente il chiuso conservatorismo di questa visione, per quanto intriso dell’enfasi sulle nuove tecnologie, che pervade la più parte del testo.

La domanda di fondo è quindi, in definitiva, quanto questi strateghi atlantici, di cui si tace il nome, stiano davvero capendo non solo il presente ma soprattutto il futuro.

“Potenze revisioniste” e ordine internazionale Usa

La destabilizzazione della pace mondiale sta proseguendo a ritmo accelerato da parte dell’amministrazione Usa. Dopo la decisione di affermare Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico, che ha già infiammato gli animi in tutta la Palestina, pochi giorni fa è stata confermata la decisione americana di fornire 210 missili anticarro FGM.148 Javelin alle forze armate ucraine: si tratta di un’arma che accresce il potenziale militare della repubblica Ucraina, mettendola in condizione di sviluppare con assai maggiori possibilità di successo il conflitto contro le regioni separatiste filo-russe del Donbass e Lugansk. Una tipica guerra a bassa intensità, soprattutto mediatica, che però, dal 2014, ha mietuto già oltre 10mila vittime tra civili e militari – rendendo sempre più precario l’accordo per una sospensione delle ostilità stipulato a Minsk nel 2015 grazie alla mediazione di alcuni Stati europei.Continua a leggere…

I cento anni di guerra del sionismo, da Balfour a Trump (1917-2017)

Lo scorso 2 novembre ricorrevano i cento anni dalla Dichiarazione Balfour, evento che ha marcato indelebilmente la storia dell’intero Medio Oriente contemporeaneo, poiché con quest’atto politico-diplomatico il governo inglese aprì la strada, sotto la pressione del movimento sionista, collegatosi ai vertici del potere britannico e statunitense nel corso della Prima guerra mondiale, alla nascita dello Stato ebraico, realizzatasi poi pienamente nel 1948.

Continua a leggere…

L’Italia con la Nato in Lettonia: la questione di fondo

È necessaria una messa a punto per dare il giusto valore alla decisione del governo italiano di inviare 140 soldati italiani in Lettonia, come componente della forza Nato dislocata in quel Paese, al confine con la Federazione Russa.
L’orientamento della Nato a rafforzare militarmente i Paesi dell’Europa orientale (Paesi Baltici, Polonia, Bulgaria, Romania) è stata consacrata fin dal Vertice dei Capi di Stato e di Governo alleati tenutosi nel settembre 2014 a Celtic Manor: questo vertice ha infatti innescato una sequenza di misure operative che lo scorso 8-9 luglio hanno portato, dopo l’altro Summit Nato di Varsavia, tenutosi non a caso nello stesso edificio un tempo sede del comando supremo del Patto di Varsavia, alla concreta messa in opera del cosiddetto RAP (Readiness Action Plan, che potremmo tradurre con “Piano di Pronto Intervento”), articolato su due tipi di azioni: “misure di rassicurazione“ e “misure di adattamento”.Continua a leggere…