Occidente israeliano

Proseguendo la proficua collaborazione con il blog di Giacomo Gabellini, Il Contesto, ho avuto modo di dialogare con questo brillante analista sulla questione della misura in cui l’Occidente sta lasciando mano libera totale allo Stato di Israele in Palestina, in spregio della retorica umanitaria, della celebrazione degli accordi Oslo, del mantram ripetuto ogni giorno da nostri governanti sulla “soluzione a Due Stati”, che in realtà si sta allontanando ogni giorno di più, et pour cause.

Trovate nella conversazione che collego qui di seguito uno scambio di idee che credo possa risultare al tempo stesso interessante e assai più serena e realistica di quanto il bombardamento mediatico delle grandi reti italiane e internazionali possa fornire.

Buon ascolto.

Scambi di idee

Per i lettori che hanno tempo e pazienza sufficiente, rimando alla cortese segnalazione di clarissa.it, che ha raccolto i video di due recenti occasioni di scambio di idee che ho avuto, con grande piacere, con un pubblicista prolifico autore di numerosi saggi sull’attualità, Giacomo Gabellini, che si distingue per lucidità, indipendenza di giudizio e ricchezza di documentazione.

Ci siamo occupati, in queste due occasioni, sia della situazione in Ucraina che di quella in Terra Santa, collegando spesso le due tematiche.

Nel primo caso a Montemaggiore al Metauro, per merito dell’associazione LiberaMente, che ha proposto il tema Obiettivo Ucraina.

Nel secondo caso, nel blog di Gabellini stesso, Il Contesto.

Ecco dove potete trovarci, immersi in una animata conversazione: i due video sono raccolti qui su clarissa.it

Buon ascolto!

Nato, Europa, Italia

Ho pubblicato due articoli su clarissa.it, entrambi relativi al vertice Nato di Madrid, dove è stato presentato il new strategic concept dell’Alleanza Atlantica.

Nel primo ho cercato di dare una lettura delle dichiarazioni del segretario generale Stoltenberg dal punto di vista di un’effettiva autonomia dell’Europa, se il processo di unificazione fosse effettivamente orientato in questo senso – quello cioè di un’indipendenza dal gioco delle grandi potenze, dalla lotta in corso fra chi intende mantenere un’egemonia mondiale (i Paesi anglosassoni) e chi ha invece intenzione di mettere in discussione questo modello, probabilmente con l’intenzione, almeno nel caso della Cina, di sedersi prima o poi a propria volta sul gradino più alto del podio mondiale. Qualora invece l’Europa, quale campo di battaglia di due guerre mondiali, fosse stata capace di proporre un proprio modello non competitivo ma collaborativo, non saremmo probabilmente arrivati nemmeno al conflitto in Ucraina.

Il secondo articolo ritorna su una questione di cui mi occupo spesso, non come un vecchio nazionalista, ma come un convinto assertore della missione che mazzinianamente l’Italia ha ancora da svolgere nel mondo, quella per capirsi della proposta di un modello sociale nuovo, che esprima e realizzi l’idea dell’Italia del Popolo: un’impulso che, trasversalmente ai diversi schieramenti politici, ha alimentato la parte migliore, più dinamica e innovativa, della nostra storia, tra Ottocento e Novecento – pur con i suoi limiti di troppa declamazione, a fronte delle poche difficili ma concrete realizzazioni.

La crescente subordinazione dell’Italia ai grandi interessi economico-finanziari, ed alle loro conseguenti declinazioni politico-militari, è un dato di fatto che deve essere insistentemente sollevato davanti all’opinione pubblica, sia pure con i modesti mezzi di chi scrive. Chi ancora ciancia di democrazia e di libertà ma tace su questa nostra condizione come Paese è portatore di menzogna e di inganno nei confronti del nostro popolo.

Spero che questi due contributi possano essere quindi di aiuto alla formazione oramai indispensabile di una coscienza di popolo rinnovata, che abbia chiare le linee di sviluppo della politica globale del nostro tempo, e del ruolo che in questo ambito Italia ed Europa potrebbero e dovrebbero ancora svolgere, quantomeno per evitare i rischi di conflitti che si vanno pericolosamente addensando sul futuro dell’umanità.

Quaranta anni dopo Ustica

Consiglio vivamente ai miei lettori di leggere l’articolo pubblicato da Gaetano Sinatti sul sito clarissa.it in merito alla tragica vicenda di Ustica, del 27 giugno del 1980, quando venne abbattuto l’aereo civile Dc-9 Itavia con a bordo 81 nostri concittadini.

L’articolo non va per il sottile: ma, oltre al riepilogo di alcuni dati essenziali, che occorre conoscere, punta al nocciolo della questione, vale a dire le ragioni del silenzio della classe dirigente italiana sul riconoscimento delle responsabilità delle potenze “alleate” che siamo oggi ragionevolmente certi abbiano operato quella sera in assetto di guerra, senza mai aver spiegato cosa sia accaduto.

Si tratta di un altro caso in cui la verità storica è ampiamente documentata, ma lo Stato sedicente democratico non ha mai ritenuto di prendere una posizione pubblica nei confronti dei responsabili, che ad esso sono pure ben noti, come dimostrano le parole, fra le altre, di un Francesco Cossiga, egli pure come sempre mafiosamente allusivo.

Non mancano i riferimenti all’attualità, in particolare al destino della Libia e di Gheddafi, obiettivo dell’azione di guerra del 27 giugno 1980: una questione in cui nuovamente l’Italia si trova oggi in estrema difficoltà.

Un articolo quindi che ci sollecita, per chi già non lo faccia, ad una meditazione accorata sulla storia del nostro popolo dopo la fine della Seconda guerra mondiale.

Venti tesi sulla strategia della tensione

Questo documento di lavoro, a firma G.S., è comparso sul sito clarissa.it, al quale collaboro da tempo: lo propongo come stimolo alla discussione.

 

I punti di vista che vengono qui pubblicati sintetizzano i risultati di una ricerca storica oramai consolidata nel corso degli ultimi venti anni.
Tuttavia riteniamo utile proporli in modo estremamente sintetico e riassuntivo, per costituire dei riferimenti essenziali per chi è interessato ad approfondire questo tema, fondamentale per comprendere la storia italiana e molti dei fenomeni terroristici ancora in svolgimento.
Come sempre in campo storico, riteniamo che la revisione di qualunque opinione sia sempre possibile, ma consideriamo questi punti sufficientemente vicini alla verità per poter essere oggi presentati come tesi e non più come semplici ipotesi.

Continua a leggere…

L’Italia con la Nato in Lettonia: la questione di fondo

È necessaria una messa a punto per dare il giusto valore alla decisione del governo italiano di inviare 140 soldati italiani in Lettonia, come componente della forza Nato dislocata in quel Paese, al confine con la Federazione Russa.
L’orientamento della Nato a rafforzare militarmente i Paesi dell’Europa orientale (Paesi Baltici, Polonia, Bulgaria, Romania) è stata consacrata fin dal Vertice dei Capi di Stato e di Governo alleati tenutosi nel settembre 2014 a Celtic Manor: questo vertice ha infatti innescato una sequenza di misure operative che lo scorso 8-9 luglio hanno portato, dopo l’altro Summit Nato di Varsavia, tenutosi non a caso nello stesso edificio un tempo sede del comando supremo del Patto di Varsavia, alla concreta messa in opera del cosiddetto RAP (Readiness Action Plan, che potremmo tradurre con “Piano di Pronto Intervento”), articolato su due tipi di azioni: “misure di rassicurazione“ e “misure di adattamento”.Continua a leggere…

Scenario italiano. Parte terza: la missione dell’Italia

La mancanza di comprensione del contesto internazionale e delle forze reali dell’economia globalizzata da parte della classe dirigente italiana spiega, in definitiva, il crescente distacco di essa rispetto al Paese. Da qui il sano, istintivo atteggiamento antipolitico diffusosi nel Paese, atteggiamento corrispondente del resto ad una caratteristica storicamente strutturale dell’Italia che, quasi per paradosso, è riuscita per secoli a donare grandi forze di progresso spirituale all’umanità in totale assenza di uno Stato unitario. Ben poco da sorprendersi né da scandalizzarsi quindi, se, dopo centocinquanta anni di storia unitaria, in presenza di una classe politica che non più incarna l’unità, gli Italiani comincino a volersi sottrarre al dominio apparente della politica, che cela forze ben più potenti, come abbiamo appena visto.

 Questa tendenza è del resto ampiamente giustificata dalla constatazione della sostanziale impossibilità ad operare i necessari mutamenti nel Paese, nella direzione che gli scenari che abbiamo precedentemente tratteggiato imporrebbero, da parte vuoi di forze nuove elettorali, vuoi di forze movimentiste. Nel primo caso, si è visto quanto, una volta costrette nei meccanismi del parlamentarismo, esse possano essere velocemente svuotate della propulsione necessaria ad imprimere una svolta decisiva al Paese. Nel secondo caso, si è visto molto recentemente quanto sia facile prestarsi a infiltrazioni, provocazioni, strumentalizzazioni, ovvero alla caduta in fenomeni qualunquistici di corta prospettiva.Continua a leggere…

Scenario Italiano. Parte prima: il contesto internazionale

Per indicare brevemente le prospettive per l’Italia nei prossimi anni, dobbiamo partire da quanto accade a livello mondiale.

Il principale processo storico che sta segnando il nuovo secolo è rappresentato dallo spostamento del baricentro delle grandi politiche di potenza dall’Atlantico al Pacifico. Si tratta di un passaggio significativo, perché modifica il quadro cui siamo abituati in Europa da oltre due secoli, la prospettiva alla quale ci ha assuefatto il XX secolo: nonostante il declino dell’Europa come sede delle grandi potenze mondiali, infatti, l’asse anglo-americano sul nord Atlantico, consolidatosti in due conflitti planetari, aveva fatto finora di quest’area il centro strategico del mondo.

Ma la crescente polarizzazione fra Cina e Stati Uniti d’America nel Pacifico non è in realtà cosa nuova per la storia americana, a differenza nostra: è ben noto infatti che sia stato proprio il Pacifico la prima arena mondiale in cui l’imperialismo americano si estrinsecò, verso la fine del XIX secolo; così come è risaputo che il presidente americano F.D. Roosevelt, il grande artefice della vittoria statunitense nella seconda guerra mondiale, vedeva nella Cina il partner ideale della riorganizzazione dell’ordine mondiale post-bellico, dentro e fuori il contesto delle Nazioni Unite.Continua a leggere…

Derivati, finanza, partiti: la malattia che non si vuole curare

Noi di clarissa.it potremmo rivendicare il fatto che in tempi non sospetti, vale a dire in una conferenza pubblica del 27 ottobre 2007, di cui è possibile scaricare dal nostro sito la presentazione, avevamo chiaramente indicato proprio quello che si sta oggi dimostrando nei fatti.
Dicevamo che l’economia finanziarizzata, quella dei Padroni dell’Universo (come amano chiamarsi i grandi speculatori internazionali) che hanno lavorato per tre decenni e oltre sotto il democratico motto “create e distribuite” (riferito ovviamente al rischio speculativo…), aveva già intaccato la finanza pubblica, e questo avrebbe condizionato le scelte politiche di un’intera classe dirigente, quella occidentale.
In questo modo, assoggettando definitivamente i popoli all’esigenza di coprire l’enorme massa di titoli che sono ormai carta straccia, quelle politiche avrebbero necessariamente dovuto recuperare le perdite di sistema mediante la pressione fiscale, la cosiddetta austerità e la messa a rischio dell’intero sistema del welfare.
Così da allora è stato: quello che nel 2007 ben pochi hanno saputo dire, oggi è sotto gli occhi di tutti quelli che vogliono vedere e comprendere.
Le notizie che con grande prudenza La Repubblica sta dando in queste ore, sulla perdita di 8 miliardi di euro in derivati del Tesoro italiano, si aggiungono a quello che abbiamo già letto sulla vicenda Monte Paschi di Siena, ma anche, qui “da noi” in piccolo, sulla gravissima crisi di Banca Marche: una banca locale che non ha ancora spiegato ai suoi azionisti né tantomeno alla cittadinanza le ragioni per cui ha dovuto “svalutare” un quarto dei suoi “assets” (patrimonio), oltre ad avere accumulato una perdita di oltre 500 milioni di euro.Continua a leggere…